Pipilotti Rist – Don’t abandon me again


 

20170209_175702
Pipilotti Rist, Do Not Abandon Me Again, 2015, installation view at Kunsthaus Zurich, 2016. Courtesy: the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine; photograph: Lena Huber

Nel panorama dell’arte contemporanea ho una predilezione per la videoarte della quale i due artisti più rappresentativi sono Bill Viola (del quale vi parlerò in un altro articolo) e Pipilotti Rist. In quest’articolo vi parlerò di Pipilotti e delle sue opere più significative, non tutte purtroppo, vista la lunga e prolifica carriera. Inizio con la mostra tenutasi a Zurigo nel 2016.
Una mappa e una piccola torcia per leggere al buio, questo il materiale consegnato al visitatore prima del suo ingresso nella mostra che il Kunsthaus di Zurigo ha dedicato all’artista svizzera Pipilotti Rist (Grabs, 1962). Subito dopo, il passaggio dalla luce naturale al buio e alla moltitudine di luci e colori artificiali che hanno trasformato uno spazio di 1400 metri quadrati in un enorme ambiente dalle atmosfere visionarie.

Qui ci si muove in un labirinto di videoinstallazioni, senza seguire un percorso cronologico né d’altro tipo, ma semplicemente vagando, catturati dalle immagini e dalla musica. Do Not Abandon Me Again (2015) è un letto matrimoniale su cui ci si può distendere per farsi colpire dalle immagini proiettate dal soffitto.

Non sono solo le immagini a suggestionarci, ma anche la musica, usando come colonna sonora dell’installazione brani noti di famose band e cover rivisitate come Wicked Game di Chris Isaak:

Un’ampia porzione dello spazio espositivo del Kunsthaus è stato occupato da grandi proiezioni di immagini in movimento: animali, frutta, foglie, l’universo naturale che l’artista reinventa attraverso la tecnologia. Il dialogo tra natura e tecnologia è ben esemplificato in una delle opere realizzate appositamente per la mostra al Kunsthaus. Si tratta di Pixel Forest: 3000 lampade LED, sospese al soffitto e sincronizzate ognuna con un segnale video, creano una foresta artificiale che cambia costantemente aspetto. Anche qui siamo invitati a una sorta di esplorazione naturalistica, entrando nell’opera e attraversando lo spazio. L’artista ha definito Pixel Forest «uno schermo esploso nella stanza».

198364270aa6caeffcba4d9fffc660a7

Il design impeccabile di Rist presenta innumerevoli proiezioni e schermi video, spesso nascosti in oggetti comuni, come borse o lampade. Entrando nello spettacolo, gli spettatori si fanno strada attraverso le pareti illuminate con immagini di pecore, scene montane pastorali e disegni vettoriali geometrici. Do Not Abandon Me Again (2015) presenta una visione dello spazio esterno proiettata su un letto anonimo. Al centro della mostra è il famoso Cape Cod Chandelier (2011) di Rist, che proietta due video astratti su indumenti intimi raccolti dalla famiglia e dagli amici dell’artista. Può essere difficile dire quali opere qui siano nuove: il technicolor sublime di Rist avvolge e unifica la mostra in modo sublime, anche se il corpo dell’artista, in confronto a precedenti lavori, scompare gradualmente. Ma il tratto distintivo di Rist è la preferenza per la sua espressione, caratterizzata dall’ispirazione alla natura nei suoi quattro elementi, soprattutto per l’acqua, dell’estetica dei video artisti e dei creatori di social media di oggi.

867b78f5b9e55dfb5a503f3562bb4704Pipilotti Rist, Cape Cod Chandelier, 2011, installation view at Kunsthaus Zurich, 2016. Courtesy: the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine; photograph: Lena Huber

pipilotti papaveri

Questa retrospettiva permette di vedere e immergersi nell’opera di Rist, risultato di una  combinazione di immagini bucoliche con il corpo femminile, immagini che proiettano accomunando, il ‘naturale’ con il ‘femminile’ – due concetti che sono ancora frequentemente fraintesi. Come la natura così il corpo femminile sono oggetti di  una idealizzazione; su questi due temi si costruisce una cultura dello sfruttamento e violenza. Il lavoro di Rist attesta un’autentica lotta della donna per acquisire l’amor proprio e per portare egualmente lo stesso rispetto e amore verso la natura. Donna e Natura formano un unico “corpo sublime”. Importante per la comprensione di questa visione sono le facoltà di lentezza e profondità di sguardo e di animo.
L’esempio è dato nel video che l’artista ha realizzato qualche tempo fa in una grande installazione in esclusiva per il MoMA di New York, intitolata Pour Your Body Out (2008 – 2009). In questo lavoro Pipilotti, nell’atrio del secondo piano, aveva letteralmente invaso ogni parete di proiezioni, mentre al centro dello spazio era stato realizzato un enorme divano circolare, circondato da tappeti, sul quale era possibile accedere soltanto a piedi nudi.

MoMa Pipilotti

Nei video si poteva assistere a una sorta di rito di baccanti, con uomini e donne che danzavano in estasi immersi in una natura lussureggiante. L’installazione che è stata un evento di grandissimo successo, è quella tenutosi in occasione della chiusura della mostra, Yoga at the MoMA, momento molto emozionante, con una lezione gratuita di yoga di un’ora tenuta da Elena Brower, fondatrice di Virayoga, un vero e proprio punto di riferimento per questa pratica negli Usa e conosciuta a livello internazionale. Circa 150 persone hanno dunque potuto assistere alla mostra e allo stesso tempo esercitarsi, coinvolti in una esperienza dalla formula inedita. I posti disponibili sono andati esauriti in pochi minuti dalla pubblicazione online dell’evento e le richieste per poter accedere sono state diverse migliaia.
Pipilotti ha ripreso Elena Brower, da sola, mentre si muove immersa dalle immagini dei  suoi video, con una colonna sonora incredibile. Il risultato è davvero meraviglioso:

Jeremy Lipking in poche pennellate


Jeremy Lipking Tutt'Art@ (19)Jeremy Lipking, nato nel 1975 a Santa Monica in California, si è ispirato ai pittori storici che hanno unito la tradizione figurativa delle accademie europee d’arte del XIX secolo, con particolare attenzione John Singer Sargent, Anders Zorn e Joaquin Sorolla, tutti pittori figurativi.
La sua pittura è basata dalla costruzione delle forme tramite una linea che ne definisce chiaramente i contorni e gli spigoli, e da un colore di tonalità fredda.
5 lipking
Il risalto è dato dalla luce naturale, di preferenza infatti colloca i suoi modelli vicino finestre. Per un certo periodo preferiva utilizzare modelle professioniste per dipingere le sue figure all’interno del suo studio, di solito nude. Lo stile era caratterizzato da poche pennellate che abbozzavano la figura, lasciandola spesso incompleta e facendo trasparire il fondo bianco dal quale emergevano.2 lipking

White Gown _ Jeremy Lipking

 

1 lipkingUn primo cambiamento si nota quando inizia ad eliminare le figure per dipingere ambienti e stanze vuote.
Jeremy Lipking Tutt'Art@ (37)

Successivamente scoprì l’emozione del dipingere persone normali, sempre nuove e diverse, ritratte all’aperto: bambini, anziani, e poi paesaggi solitari.
Personalmente amo il suo modo di dipingere con pennellate fluide, date in modo rapido ma che riescono a definire dettagli importanti che catturano l’attenzione dello spettatore.

3 lipking

eyes

 

fall

neve

mountain

 

 

 

Un cuore in inverno


Screenshot_20180118-170946In una città così rumorosa e piena di vita, vorrei tanto che si fermasse tutto. Svegliarmi la mattina e vedere dalla finestra un solo colore e un solo suono: palazzi e strade ricoperte di neve che leggera cade e allontana ogni persona nelle proprie case. Il rumore del silenzio, il bianco che placa ogni pensiero. A Napoli non nevica, piove, tira vento e poi torna sempre il sole, e la città non si ferma mai, sei travolto comunque, anche se resti fermo solo a guardare.
Ho bisogno di un inverno lungo, freddissimo e con bufere di neve, tanta che arrivi alle finestre e blocchi le porte delle case. Ma è un desiderio che è difficile si realizzi. L’ultima nevicata a Napoli fu quella del ’56.

20180118_185128

Screenshot_20180118-084637Guardo queste foto come in un sogno. Sto dormendo, il cuore ha rallentato i battiti, le mie giornate si fondono con le notti. Solo la mia porta si aprirà e non ci sarà più la città, mi troverò di fronte un cervo. Nei suoi occhi leggerò i miei.

Screenshot_20180118-163336

20180118_185216E mi chiamerà il corvo nel suo volo. Correrò come la rossa volpe affondando le zampe nella neve. Freddo non sentirà il mio cuore, sarò in giusta compagnia.

20180118_181050Non é così diversa la mia realtà dal sogno. Scorre il tempo di questo inverno al riparo di una tana ricoperta di neve: il mio lavoro.
Nella tranquillità che ho trovato mi muovo poco e lentamente.
Lavoro bene, ho la giusta concentrazione così staccata dal resto del mondo. Da pochi giorni ho completato il restauro di uno specchio in porcellana che andrà esposto in una mostra alla Venaria,  da marzo fino a settembre.

20180118_185310

A breve inizio il prossimo lavoro, sempre all’interno dello stesso museo, dove ho una stanza tutta per me.

20180118_183334
Il museo è una villa dell’Ottocento, nella parte alta della città, circondata da un parco, sul lato est è rivolta verso il mare, posso vedere Capri di fronte, Posillipo a destra e il Vesuvio a sinistra.

20180116_203141Lavoro sola e ogni tanto mi concedo una pausa, vado a fumare sul solaio dove posso guardare tutta la città dall’alto.
Trovo tanta sicurezza e piacere circondata dalle opere d’arte esposte nelle sale, chiuse nelle vetrine o esposte sui muri. Io interrompo il loro tempo eterno per curare le loro ferite con le mie mani, sono arrivate a me da viaggi misteriosi che percorrono da secoli, la mia cura dura un battito di ciglia per riconsegnarle poi di nuovo al mistero che ancora le attende.

20170706_103114

20170706_102845

20170706_111139Intanto è ancora inverno, io ho ancora tempo, il mio cuore è al riparo.

Screenshot_20180118-184603

P.S.

UN CUORE IN INVERNO è un film di genere drammatico del 1992, diretto da Claude Sautet, con Daniel Auteuil e Emmanuelle Béart, ritratto di un malessere esistenziale che si traduce in disamore, crisi dei sentimenti, paura di un legame affettivo. Stephane non è in grado di vivere i suoi sentimenti. Quando le passioni nascono e si accendono nella relazione con lui, si ritira e rimane indifferente o addirittura freddo, é un “cuore in inverno”. Camille lo cerca ed egli si ritrae; la donna insiste, cerca in tutti i modi di sedurlo e di coinvolgerlo affettivamente ed egli rimane imperturbabile e, con estrema compostezza, come se venisse interrogato sul nome di una via o di un luogo, conclude: io non ti amo.

Il dandy Yinka Shonibare: se la società non mi vuole, io la rifiuto


Yinka Shonibare MBE (Ordine dell’Impero Britannico, tra le più alte onorificenze),  è un artista nigeriano, nato a Londra nel 1962, dove vive e lavora attualmente. Il suo stile è caratterizzato dalla fusione di universi diversi, la cultura afro con quella british. Shonibare, anche se nato in Inghilterra, ha avuto in questo paese le stesse difficoltà dei suoi connazionali emigrati alla ricerca di una vita migliore. Nei lavori dell’artista non c’è però una palese denuncia moralista del sistema sociale. Quella che viene mostrata è la bellezza estetica nella fusione delle due culture, visibile al primo sguardo, ma a livello allegorico il significato che viene espresso è molto più forte. L’atteggiamento mentale di Shonibare da “dandy” contemporaneo è dunque questa: se la società non mi vuole, io la rifiuto. Egli non ammette mai come positiva l’accettazione sociale grazie al suo ruolo di artista, anzi, approfitta del suo ruolo per deridere ironicamente il pubblico.

Shonibare, il dandy, il degenerato, usa la carta della “differenza tollerabile” , del suo essere un artista, per lanciare messaggi sovversivi, come la seduzione e la trasgressione, lo humour, la parodia.

Il bisogno di sovvertire e di ribellione dissacratoria, di questo artista afro-britannico, si palesa nella serie di tableaux fotografici intitolata “Diario di un Dandy Vittoriano” (1998) in cui egli stesso, ironicamente, interpreta il personaggio principale della messa in scena, ispirata al ciclo di quadri di William Hogart “La carriera di un libertino” (1732-33) che potete vedere qui di seguito elencati:

f20d7a69e337c0e6da704f0eb2d41014

Nei panni della figura del dandy nero, l’artista troneggia al centro di ogni immagine, magnifico e sprezzante, circondato da uomini e donne in costume che, con espressioni enfatiche e gesti esageratamente teatrali, si mostrano vittime del suo fascino:

Shonibare capovolge/stravolge le gerarchie a cui siamo mentalmente abituati nella tradizione artistica della cultura occidentale, in cui la figura del nero è praticamente assente, oppure è usata come elemento pittoresco o in ruoli subalterni. Il ribaltamento dei ruoli è tuttavia rappresentato con modi kitsch che suggeriscono l’idea che la Storia possa essere altrettanto falsa della finzione.

Tre sono gli elementi caratteristici del suo stile: il fascino della seduzione, il potere della finzione, la vulnerabilità del desiderio, e tutto realizzato spesso nel suo lavoro con un uso smodato dei colori, bagliori, suggestioni. Come dice lo stesso Shonibare:

L’eccesso è il solo mezzo di sovversione legittimo: rifiuta la povertà e la povertà rifiuterà te. L’ibridizzazione è una forma di disobbedienza, una disobbedienza parassitaria rispetto alla specie ospite, una forma eccessiva di libido, è sesso gioioso. L’unica disobbedienza consentita consiste nell’impossibilità di obbedire a tutti, il produrre un oggetto d’arte che, proprio in virtù delle sue stesse ambivalenze, nega ogni nozione di lealtà. Vorrei produrre il fantastico, cerco di raggiungere l’estasi. Desidero ardentemente il godimento, il mio desiderio di una bellezza radicale mi provoca un genere di dolore che mi colpisce fino in fondo all’anima“.

La provocazione, lo scandalo, raggiungono il culmine della perfezione estetica, del godimento visivo, nelle sue installazioni con manichini decapitati, abbigliati con costumi tipicamente settecenteschi, ma riprodotti con stoffe a stampe batik, tipicamente africane. Shonibare ripropone i celebri capolavori del periodo (sono citati esplicitamente artisti come Gainsborough, Fragonard, Hogart), in tre dimensioni, tra trine, pizzi, volant, bagliori dorati, anche se i manichini decapitati ricordano con umorismo quele sarà il destino violento che metterà fine al lusso e alla voluttà dell’ aristocrazia.

08b6a78e33292aec10076d856547a2c8
2f8d6bc67b4401309dbc0481a6f047f0

7e87a207f1a927f4f67dc4aa4f2e707e e4fb906ea36b92f3b2ca1f271e7ff2f1 0c63ff5a2dca29107eb8e5967ba6ee4b 7b77eec7b3f8dde90d0e8018c79359e9“In tutte le culture gli abiti rappresentano lo spazio deputato per un complesso circuito di forme d’identità, un involucro che cerca di rendere visibile un sistema di desiderii e di aspirazioni, sensoriali e spirituali. Attraverso il modo di vestire si esprime pubblicamente la propria classe sociale, la propria appartenenza etnica, la propria sessualità, ma si dà anche corpo alle proprie fantasie su ciò che si vorrebbe essere” (C. Perrella).

Gli abiti sono quindi una facciata, e gli abiti di Shonibare sono uno schermo su cui l’artista proietta le diverse identità sociali. Egli stesso afferma:

“Il degenerato etnico deve abbigliarsi per impressionare, il dandismo per il degenerato è tutt’altro che frivolo, è un modo di prendersi la propria libertà”

b49c1fa07a49456be7cc678851f093e7
1aa6672d23363ffc8accbea993ebf47d c9b3a7fd1f0dec58b3cb9d3d1455edd1

L’intimità iper-realistica dei corpi


Gerard Schlosser è un pittore francese nato il 12 giugno 1931 a Lille (ha 84 anni). Vive e lavora a Parigi. È tra miei artisti preferiti. Il suo genere stilistico è l’iperrealismo.Non c’è praticamente alcuna informazione su di lui su Internet.

Schlosser ritrae momenti intimi della vita quotidiana con un’abilità perfezionata nel corso della sua carriera. Il pittore utilizza fotografie, isolando particolari parti del corpo e paesaggi, li ritaglia e crea dei collage, realizza così una nuova immagine, isolati al centro della scena dei suoi quadri. Ecco alcune delle foto sulle quali ha lavorato:

La maggior parte sono scene all’aperto, in giornate dal cielo limpido e in piena luce. Alcuni dipinti rappresentano invece solo particolari del paesaggio come l’erba estiva seccata dal sole, parti di un bosco visto dal di fuori.

Sono tutte parti di un’unica realtà, parti dove l’occhio dell’artista si è soffermato per un breve istante, cogliendo il mistero e la bellezza, che in questo modo si eguagliano. E’ come un grande puzzle, vediamo solo dei pezzi e l’immaginazione ci porta a pensare alla realtà unica, ma è possibile? Esiste la realtà che noi immaginiamo e quella che l’artista ha visto. Sono come dei fotogrammi bloccati di un film e Schlosser è l’occhio-telecamera, un pittore-regista, non solo un occhio.

La scelta dei soggetti, un ombelico un seno nudo delle gambe, espongono una intimità furtivamente rubata dall’occhio dell’artista, la loro semplicità staccata da qualsiasi azione e dal contesto generale, privano le immagini di una carica erotica.

L’occhio è attratto in dall’incredibile perizia tecnica non rendendosi conto che in realtà non sono immagini realistiche, il colore degli abiti è puro senza sfumature di toni, i contorni sono netti, gli elementi non sono in relazione fra loro. L’omissione dei volti nei soggetti dà alle rappresentazioni ritagliate un alone di mistero sul racconto/film che l’artista mette in scena. Ma la storia resta sconosciuta.

La mancanza di un racconto crea uno spazio vuoto, intenzionale, che permette allo spettatore di sovrapporre esperienze personali ed emozioni, un rendering non solo grafico ma un processo di generazione di sentimenti che tramite la memoria li colleghiamo alle immagini.

Questa caratteristica unica in effetti attribuisce una variabile narrativa ai ritratti ultra-fedeli. I miei dipinti preferiti sono questi:

0a189309e52f0904ab046c117ba625fb

Vi propongo un video di una mostra delle sue opere nell’unica galleria a Parigi dove espone, Galerie Lauren Stroke.

Le donne di Melanie


Melanie Bourget è un’artista francese, di Nantes, che realizza sculture in ceramica utilizzando l’antica tecnica raku. Ogni pezzo, realizzato in argilla, dopo una prima cottura e l’applicazione degli smalti, viene cotto nuovamente in un piccolo forno aperto. A questo punto il pezzo incandescente viene estratto e collocato in una buca sul terreno contenente segatura. A contatto con la ceramica calda la segatura s’incendia, si chiude con un coperchio in modo da produrre un’atmosfera priva di ossigeno, e così si ottengono le colorazioni metalliche. In seguito i pezzi ancora molto caldi vengono introdotti in un recipiente contenente acqua fredda al fine di provocare un immediato raffreddamento degli smalti. Gli sbalzi termici sono la causa della presenza di crepe e di smalti a reticolo. Ecco alcune immagini di Melanie al lavoro:

Le sue opere raffigurano vari soggetti, soprattutto femminili, una personale indagine dell’artista sui vari modi di essere donna con tutte le manifestazioni di carattere, personalità. Alcune sono ad occhi chiusi, distanti nei loro sogni tanto eteree da far apparire leggerissima la materia di cui sono fatte. I loro capelli spesso sono gonfi e come nuvole portate dal vento.

Altre esprimono l’intimità, dolce e inaccessibile dall’esterno, del legame di una madre col figlio.

Lo sguardo dell’artista si diverte esponendo una femminilità autoironica, frutto dell’autonomia e spregiudicatezza della donna contemporanea.

Tutte hanno di caratteristico un’ anima viva che trascende la materia, ti guardano e sembra che ti stiano parlando. È la donna staccata dalla costola d’Adamo, plasmata con l’argilla che ha ricevuto il soffio della vita.

fcb6e110cc29aeb2ba82b1ba81e0ba4a